Considerazioni sulla tecnica chitarristica

Visto che negli ultimi 30 anni ho suonato regolarmente in 4 continenti, ho avuto modo di conoscere ed apprezzare i punti di vista di colleghi di tutto il mondo, dalla scuola cinese a quelle giapponesi, americane ed europee.

Ci sono, come prevedibile, molti diversi punti di vista, sia sulla tecnica vera e propria, (l’impostazione, il tipo di tocco, la lunghezza delle unghie ecc.), sia sulla generale “visione” dello strumento.

Non tutti portano a risultati ugualmente apprezzabili & ci sono alcune tecniche oggettivamente peggiori di altre, (quelle che risultano in un suono sporco, fuori controllo o creano tensioni che risultano in dolori alla schiena o tendiniti), ma ignorando quelle, rimangono a mio parere diversi approcci alla tecnica abbastanza diversi che, pur essendo tutti validi, rispecchiano una diversa “visione” generale dello strumento.

Come esistono diversi modi di “vedere” lo strumento, così ci sono diversi tipi di impostazione e di tecnica.

Direi che si possono dividere in due grandi famiglie:

1 La visione della chitarra come un pianoforte, che mira alla uniformità dei suoni, alla precisione dei passaggi, alla velocità, alla pulizia.

2 La visione della chitarra come una voce, che privilegia l’uso dei colori, delle sfumature timbriche, del controllo e uso delle dinamiche ecc.

La n.1 vuole una MD stabile, che non cambia angolo di attacco, si sposta poco e in modo deciso, per poter ottenere sempre un bel suono omogeneo e concentrarsi sulla precisione dei passaggi.

(Le chitarre lattice braced, quelle che usano carbonio ecc. sono adatte al N.1 in quanto suonano forte e hanno poche sfumature creando già di per sé l’effetto pianoforte.)

La n.2 richiede la capacità di creare diversi tipi di attacco di suono: la MD deve imparare a  controllare il rilassamento, la tensione, l’angolo di attacco e il punto di attacco in modo da poter creare sfumature dinamiche e timbriche quella mutevolezza quasi come le labbra di una persona che parla e canta

Chi mi conosce avrà già capito che uso e insegno la n.2

Pur ammirando la precisione e la pulizia di suono della n.1 trovo molto più appagante l’uso dei colori e delle dinamiche che, oltre a tutto, sono la caratteristica e il fascino principale della chitarra.

Dopo un concerto riuscito, il commento che mi sento fare più spesso (e che mi fa più piacere) è che “faccio parlare la chitarra”.

Ho cercato di capire come faccio a creare questa impressione (così da poterla insegnare).

Si tratta di questo: faccio un uso discreto ma continuo di variazioni timbriche/dinamiche/agogiche, proprio come fa una voce quando parla.

Un uso discreto: raramente faccio una sezione al ponticello e ripetizione alla tastiera è troppo schematico.

Raramente faccio un cambio di timbro plateale: in generale accompagno le intenzioni del fraseggio con sfumature di colore e di volume che mi vengono spontanee e che creano appunto questo effetto.

E così tratto anche il rubato.

Anche di quello faccio uso discreto ma costante, sempre al servizio della comprensibilità’ della frase, del tipo di significato (feeling) che devo comunicare.

Non mi piacciono i rubati plateali: non mi sentirete andare a tempo e improvvisamente fermarmi vibrando con l’aria ispirata su una nota, questo non è proprio parte del mio gusto estetico. Meglio un rubato leggero funzionale alla pronuncia delle frasi.

Un buon esercizio per esercitare l’elasticità del fraseggio senza esagerare è quello di mettere il metronomo e suonare rubato, entrando e uscendo dal ritmo a volontà.

Credo che un altro elemento importante per la qualità della esecuzione sia la sincerità.

Lo scopo del suonare dovrebbe essere (secondo il tipo di musica) quello di raccontare una storia, o creare un clima, insomma di coinvolgere l’ascoltatore e creare un effetto estetico.

L’attenzione dell’ascoltatore dovrebbe andare sulla musica, non sull’interprete.

A volte, davanti a un certo tipo di pubblico, ripaga il fatto di attirare l’attenzione su di sé, fare smorfie esagerate, rubati estenuanti, atteggiamenti ammiccanti, ma qui si entra nel campo della integrità artistica, e questo è un campo privato di cui ogni artista è responsabile.

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