Domenica, 14 Luglio 2013 00:50

Il declino dell'estro

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Tempo fa partecipando alla giuria di un concorso internazionale sono stato colpito da un fatto inspiegabile: il concorrente che poi ha vinto, pur essendo tecnicamente impeccabile, brillante e musicalmente corretto, pur avendo anche un bel suono… non mi piaceva.
Lo ascoltavo ammirato ma nello stesso tempo osservavo che per qualche ragione misteriosa non riusciva a coinvolgermi.
Per lungo tempo mi sono chiesto le ragioni di questo fenomeno finche’ ho colto alcuni indizi da uno studente americano uno cinese e uno francese.
Il ritmo 
Recentemente in una tournée in Asia ho incontrato degli impeccabili chitarristi cinesi che preparavano i pezzi facendo un uso massiccio del metronomo e in un’altra occasione anche uno studente americano che faceva la stessa cosa.
Per uso massiccio intendo dire che non mettevano il metronomo alla battuta, per rispettare il tempo generale ma lasciando ai sedicesimi qualche spazio per uno slancio o un timido rubato, niente affatto: il click cadeva inesorabile sull’ ottavo o addirittura il sedicesimo, costringendo lo studente a piazzare tutte le note nella loro brava casella e azzerando cosi’ ogni estro o possibile tentazione di dare una forma e direzione alle quartine per creare un fraseggio personale.
Lo studente in questo modo e sistematicamente avviliva la sua fantasia e faceva un lavoro direi da operaio piuttosto che da artista.
Avete mai visto dei ballerini professionisti ballare?
Non mettono quasi mai il piede a terra esattamente sul battere del tempo, (questo lo fanno gli orsi ballerini), loro veleggiano anticipando o ritardando ma dando sempre l’impressione di sapere esattamente dove si trova il battere.
E’ proprio questa serie di impercettibili varianti che fanno lo stile di un interprete: il bravo interprete sa esattamente dove e’ la griglia del tempo, ma la usa, ci gioca, a volte la stira un po’ ci gira intorno e non ne e’ mai effetto.
Questo concetto vale per tutti i generi musicali: vale addirittura anche per i percussionisti.
Mi ricordo che negli anni ’80, quando era esplosa la moda delle percussioni elettroniche (molto piu’ economiche dei batteristi veri), dovevano risolvere il problema della meccanicita’ e freddezza del computer. Avevano fatto uno studio sui grandi batteristi per imitare il loro stile.
Questo stile consisteva in personali imperfezioni: il grande batterista tal dei tali anticipava tot millisecondi il charleston sul rullante, ritardava un tot la cassa ecc.
Per concludere: andare perfettamente a ritmo non e’ artistico, infatti una qualsiasi macchina lo puo’ fare, mentre solo un artista puo’ creare un fraseggio.
L’interpretazione
L’interpretazione di un brano non consiste solo nell’agogica ma anche nei colori, la dinamica, lo staccato-legato e insomma tutto l’insieme di artifici che convogliano la visione del pezzo da parte dell’interprete.
Il secondo indizio sul motivo per cui non mi convinceva la impeccabile esecuzione del bravo chitarrista di cui sto parlando l’ho colto parlando con studenti di una scuola francese.
Questi ragazzi studiavano l’ interpretazioni nei minimi dettagli e la ripetevano identica migliaia di volte.
Per esempio: crescendo, respiro, piano subito.
Bello, si’, ma ripetendolo alla nausea veniva perfetto ma privo di vita.
Era un cibo precotto e riscaldato, non cucinato li per li.
Il concertista eseguiva il suo compito ma senza il minimo spazio per un estro momentaneo, una intuizione, un momento di grazia… il pezzo scorreva inesorable sui suoi binari predefiniti, impeccabile e freddo.
La vita esiste solo nel presente. Le esecuzioni memorabili che emozionano sono create nel presente, non sono la ripetizione automatica di una creazione del passato.
Il bravo interprete studia molto bene il pezzo formalmente e tecnicamente per poter essere capace di eseguirlo liberamente in concerto e solo cosi’, fatta salva l’idea generale del pezzo, potra’ “dirlo” in maniera sempre nuova e coinvolgente.

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Read 11352 times Last modified on Domenica, 14 Luglio 2013 01:07

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